DIPINGERE COME MONET

“Io dipingo come un uccello canta.” 
-Monet

Nello spezzone di un antico filmato che fa vedere Monet che dipinge risulta molto chiaro l’approccio alla tela del pittore ed emerge la postura assunta di fronte alla tela e la posizione della mano sul pennello, in grado di originare quelle “macchie” di colore che hanno la funzione, nella giustapposizione tonale delle stesse, di creare un movimento notevole all’interno della struttura del dipinto. Come appare dal filmato – e come è testimoniato, in modo convergente da dipinti in cui Monet è soggetto dell’opera – l’artista impugnava il pennello verso la parte estrema, quella più sottile, utilizzandolo pertanto come una bacchetta.
La distanza dall’impugnatura bassa, vicino alle setole, gli permetteva di raggiungere una minor incisività disegnativa a favore di un composizione sfocata, per macchia. La somma dei tocchi di pennello, guidato alla distanza, creava quella voluta imprecisione del segno che si componeva invece in maniera perfetta. alla distanza. Il pennello brandito come un fioretto, permette infatti di usufruire del disordine creativo provocato da una certa oscillazione e di sfocare, in una visione ravvicinata, il dipinto, affinché la somma delle sfocature divenga invece, a una certa distanza, messa a fuoco, dinamica e perfetta. L’uso di un pennello dal manico lungo – oltre ad evitare a Monet una controproducente precisione disegnativa – aveva anche la funzione di fungere da distanziatore che consentisse all’artista di stendere i colori e di vedere immediatamente l’effetto della stesura, senza dover continuamente arretrare per controllarne il punto di  messa a fuoco.
Frutto, questo, di un notevole esercizio che porta al raggiungimento di un obiettivo di estremo equilibrio sotto il profilo dell’ergonomia pittorica. Sotto il profilo della scelta del pennello possiamo notare, attraverso l’ingrandimento dei dipinti, che Monet, ma pure gli altri “compagni di strada” non usavano con frequenza setole rastremate – cioè il pennello con setole tagliare a forma di coda – ma prediligevano pennelli con setole quadrate e compatte, che hanno lasciato rettangoli e quadrati sulla superficie pittorica, che ci componeva così di tasselli di colore, simili, per intenderci, a quelli dei mosaici. Tasselli che non sono comunque giustapposti, ma che vengono poi strisciati e allungati. I dettagli venivano realizzati poi di punta o di costa, laddove l’intervento richiedesse una pennellata più minuta.ù

IL SEGRETO TECNICO DI MONET:
E’ possibile notare, nel Monet maturo, un effetto di trascinamento del colore attraverso pennelli piatti, sulla superficie. Da evidenziare un altro aspetto fondamentale che sfata il mito che i quadri fossero realizzati in una sola seduta. Se osserviamo nella parte bassa del dipinto vediamo che il colore di base del lago è blu scuro. Monet ha lasciato asciugare la prima preparazione e ha poi sovrapposto, a film pittorico asciutto, una pennellata trascinata color bianco sporco, che ha creato i riflessi della luce.  Da sottolineare anche il fatto che, con la direzione della pennellata, l’artista tendeva a suggerire la forma, con pochi o un sol tratto di trascinamento del colore stesso.

Accanto a queste considerazioni, vanno aggiunte le modalità di approccio temporale alla tela. Com’è noto, la precisione luministica e cromatica del maestro francese,  induceva normalmente Monet a più sedute di posa, compiute alla stessa ora. Egli intendeva, infatti, catturare l’istante, sicché, in molti casi – come avveniva per i dipinti conservati nella celeberrima barca utilizzata per soggetti fluviali – sul retro del quadro veniva segnata l’ora della prima o della seconda posa, affinchè la ripresa potesse svolgersi, nelle stesse condizioni, il giorno successivo. E’ certo, poi, che l’artista intervenisse in studio con le ultime pennellate di finitura, cioè nelle condizioni di luce di un luogo luminoso eppure chiuso. Essendo i quadri destinati ad essere esposti in sale o stanze – e non all’aperto – dov’erano avvenute le principali sedute di stesura – era necessario finire i quadri in un luogo che avesse analogie con quello in cui il dipinto sarebbe stato definitivamente esposto.

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